Il Comunismo e la Natura

Già Marx, nel I Libro de Il Capitale, rileva che la concentrazione della popolazione in grandi centri turba il ricambio organico tra uomo e terra, e che la società borghese costringe mediante la distruzione delle circostanze di quel ricambio organico, sorte per semplice spontaneità naturale, a produrre tale ricambio in via sistematica.

Quando sottolineano questa realtà gli ecologisti evidenziano una parte della realtà, ma solo una parte: è vero che la società capitalistica, ponendosi come unico obbiettivo il profitto, non tiene conto delle leggi naturali e danneggia il grembo in cui la specie vive, ma per il resto essi sono nel campo delle ideologie, delle false rappresentazioni della realtà.

Opporsi a queste posizioni significa innanzitutto non farsi strumentalizzare negli scontri di interessi tra i grandi gruppi economici, ma anche respingere l'ideologia che sia possibile nel capitalismo costruire una società a misura d'uomo con l'aiuto della scienza. Togliamoci ogni illusione: scienza e tecnica sono al servizio del capitale; del resto se nessun economista è in grado di dire come chiuderà la Borsa domani, è difficile credere che sia possibile prevedere ed intervenire su oscillazioni climatiche che hanno, i tempi delle centinaia di migliaia di anni.

Solo il comunismo affronta il nodo perché si rivolge alla radice del problema, il modo di produzione: "pensare ad uno sviluppo capitalistico «rispettoso della natura» significa illudersi ed illudere, in sostanza essere apologeti del capitalismo come realmente è. Lavorare per organizzare e dare coscienza dei propri compiti alla forza motrice storica della società è l'unico modo per tornare ad un ricambio organico tra uomo e natura non più spontaneo ma su basi scientifiche. Ciò significa liberare dalle catene del modo di produzione borghese la forza della scienza e della tecnica che la grande industria ha partorito" (Roberto Casella, Battaglie e principi per una politica comunista)

Nessuno davvero vuol rinunciare ai vantaggi dell'industrializzazione e del benessere prodotto dallo sviluppo economico; si cerca allora di spostarne gli effetti negativi nello spazio. Se le fabbriche inquinanti sono nei nostri quartieri giustamente viene posto il problema, anche se spesso nella forma semplicistica della loro eliminazione; ma se sono in qualche lontano Paese dell' Africa o dell' Asia, rappresentano un costo necessario al progresso e una necessaria fonte di reddito per aree sfortunate.

Nel mondo anglosassone è stato coniato l'acronimo "nimby", not in my backyard, non nel mio giardino, per indicare il desiderio di difendere il proprio habitat dalle influenze esterne che possono essere la costruzione del termovalorizzatore, il parcheggio sotterraneo, la fabbrica chimica, l'alta velocità o la nuova bretella autostradale; ma anche il campo profughi o la moschea e via dicendo.

In questo senso parlare di ambiente serve soprattutto a sciacquarsi la coscienza, coniugando la difesa dei propri interessi particolari col senso panico della Madre Terra: adottare un albero nel parco cittadino, montare i pannelli solari con le sovvenzioni regionali, comprare l'auto con gli eco incentivi perché non siano sommerse le Maldive, mangiare cibi genuini a «impatto zero» e chiudere l'acqua calda perché non affoghi l'orsetto bianco al Polo Nord (Guido La Barbera, Crisi globale e ristrutturazione europea).

La borghesia prosegue secondo le sue leggi ferree e le sue acute contraddizioni, non curante delle ricette ecologiche ed usando le loro formulazioni come armi ideologiche per utilizzare il proletariato. La fine di questa classe dominante, della barbarie da essa prodotta nei confronti della natura e dell'uomo, che della natura è il prodotto più perfetto, sta nella capacità di lotta rivoluzionaria che la classe sfruttata saprà esprimere nei futuri cicli degli scontri tra le classi. La società comunista saprà certamente risolvere il problema del ricambio organico dell'uomo con la natura utilizzando i risultati finora raggiunti e quelli che la scienza raggiungerà quando sarà liberata dalla camicia di forza degli interessi del capitale. Discutere del modo in cui questo avverrà sarebbe ricadere nell'idealismo e nell'utopismo prescientifico. Conviene seguire anche in questo caso il consiglio di Engels espresso nel 1881 sul possibile problema del controllo delle nascite nella società comunista: "Ad ogni modo spetterà ai membri della società comunista decidere se, quando e come fare questo e quali mezzi intendano impiegare a tal fine. Io non mi sento chiamato ad avanzare proposte o a dar loro consigli già che essi non saranno certamente meno intelligenti di noi".

Roberto Casella, Battaglie e principi per una politica comunista